Dagli ambientalisti Giovanni Cialone e Alfonso De Amicis riceviamo e pubblichiamo:
«L’uso civico ci riporta alla concessione medievale della proprietà
collettiva particolarmente viva nell’Italia meridionale e derivante
dalle tradizioni di diritto feudale; mentre nell’Italia settentrionale
derivava dalle tradizioni di diritto germanico. Questi beni per la
collettività rappresentano un diritto reale di godimento perpetuo,
inalienabile, imprescindibile, inusucapibile e occupano un bel pezzo
dell’alta collina e della montagna dell’Abruzzo interno. Hanno
rappresentato, dal medioevo fino ad oggi, una protezione sociale ed
economica per la parte più debole della collettività che l’utilizzava
per il legnatico, per il pascipascolo o per la semina. Più di recente, a
sottolineare il loro valore culturale ed ambientale, è intervenuto
l’articolo 142 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che li
sottopone a vincolo paesaggistico. La gestione degli Usi Civici è
affidata o ai comuni o alle Amministrazioni dei Beni Separati, una
miriade di micro entità mal coordinate e così, spesso questi beni sono
soggetti a pressioni antropiche ed a veri attacchi speculativo. I
pericoli sono molteplici e vengono da più parti. Essi sono di natura
istituzionale e legislativa oltre che storico-culturale e finanziaria.
Il recente decreto Salva-Italia voleva svendere queste terre
autorizzando i Comuni a cedere i beni di Uso Civico. Nuovi tentativi di
mercificare le terre collettive porterebbero a forti opposizioni fino ad
arrivare al ricorso alla Corte europea. E' utile ricordare di nuovo che
le proprietà collettive sono immutabili nella loro destinazione
agrosilvopastorale e non vanno considerate come retaggi del passato ma
come beni vivi utili ad una gestione sostenibile dei terreni con i quali
promuovere la diffusione di un’agricoltura contadina, locale, naturale e
di sussistenza nel pieno rispetto dell’ambiente e del territorio. Il
pascipascolo, il legnatico e i mutamenti di destinazione d’uso sono
invece, nella nostra zona, le attività più frequenti e spesso
utilizzando il mutamento di destinazione d’uso si permette l’apertura di
cave e l’escavazione di grandi quantità di calcare che va per altri
lidi. Succede che tutte le regioni confinanti con l’Abruzzo hanno
regolato con norme stringenti l’apertura e la coltivazione di cave
mentre da noi non esiste pianificazione in materia. Siamo diventata la
cava del centro Italia e grandi quantità di ottimo calcare a prezzi più
che competitivi finisce fuori regione mentre a noi rimangono grandi
ferite che disegnano il paesaggio. Intorno a L’Aquila la maggior parte
delle cave sono su terreno di uso civico. Per sua natura la gestione
dell'Uso Civico , da parte delle Amministrazioni Separate, non può e non
deve avere come orizzonte forme di mercantilismo e economicismo e non
si possono mantenere solo rapporti giuridici basati su formalismi
esasperati. Bisognerebbe fare un salto di qualità ed, insieme
all’oculato soddisfacimento dei bisogni della collettività, percorrere
strade peraltro già tracciate. In diverse zone del paese si muovono
forze sociali ed istituzionali che propongono percorsi alternativi.
Esempi ci vengono dalle Regioni a noi prossime: Lazio e Umbria. Nelle
Regioni citate si sono poste le basi per proposte di leggi che tengano
insieme tutela dei beni comuni e possibilità di sviluppo. Una forma di
sostegno verso le nuove generazioni, elementi propositivi per il
ripopolamento di vaste zone dell’Appennino. Recupero e rilancio di
attività scomparse o in via di estinzione, recupero di forme di
agricoltura di prossimità lontane da qualsiasi mercatismo e antitetiche
alle facili mode come l’Ethaly. Sarebbe il caso che la Regione Abruzzo
prendesse esempio dalle regioni vicine oggi che la politica prova a
parlare, dopo anni di silenzio, dell’Appennino ripartendo da Ape e dalla
Convenzione dell’Appennino e Slow Food lancia gli “Stati Generali Delle
Comunità dell’Appennino”. Va bene ma centrale in tutto questo rimane la
questione degli Usi Civici intesi come bene ambientale collettivo e la
prospettiva di un loro utilizzo sostenibile».
Giovanni Cialone
e Alfonso De Amicis
da il Centro
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