Così il mio Abruzzo vispo e bigotto è diventato un troiaio a cielo aperto

Di se stesso l’Abruzzo non ha mai fatto letteratura. Figurarsi cronaca. Cronaca rosa, poi. A cronaca giudiziaria infine mischiata. E anzi, e meglio, più che mettere le braghe alle tentazioni, mette le mani in avanti rispetto alle conseguenze, e perciò ha tra le sue più felici istituzioni l’annuale festa dei cornuti a San Valentino in Abruzzo Citeriore – “Gioiamo del fatto di avere le corna!”, con simbolo fallico in radice d’ulivo portato in gloriosa processione, e pare che fu faccenda originata dalla sorella di san Martino che, vispa più che casta, fece fesso il sant’uomo e si concesse qualche deplorevole spasso.
Ora, si capisce: se nemmeno san Martino riusciva a tenere a bada la vivace sorellina, ancor meno tale gravoso contenimento di voglie e tentazioni si può chiedere a un mortale assessore. Così le cronache che nelle ultime settimane varcano il Gran Sasso sono storie persino migliori di certe pochade di Feydeau (il suo “Albergo del libero scambio” sembra perfetta metafora; “La pulce nell’orecchio” meglio ancora – pur se adesso la pulce ha raggiunto le dimensioni di un fenicottero), gente che va e viene, hotel stellati e ricevute sfuggite, contratti per prestazioni sessuali recuperati nei cestini della carta straccia, moglie e amante in procura nello stesso giorno – e tutti, chi di qua chi di là, a chieder “scusa alla mia famiglia”, questa poi, mai sentita… Giro vorticoso di “amanti aviotrasportate” – come da definizione di Travaglio sul Fatto. Il quale Fatto, poi, il Corriere rimprovera per aver intervistato il governatore Chiodi sulla sua notte brava in albergo, vista Pantheon, con fanciulla (“non bisogna aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”, dice: ma chi è, Tex Willer? Manitù?), senza citare il Fatto stesso che la notizia ha dato. E perciò, ecco che a scorno del Corriere ieri trionfalmente il Fatto intervistava la signora (definita “la donna della camera 114”: pare uno sceneggiato anni Settanta tratto da un giallo di Francis Durbridge), che conferma e precisa: “Ho dormito con Chiodi, ma l’adulterio non è reato”, e altro ci mancherebbe.
Un abruzzese di gran classe e grande genio come Ennio Flaiano spiegava che “tra i dati positivi della mia eredità abruzzese metto anche la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo è ancora ’nu cristiane?), la benevolenza dell’umore, la semplicità, la franchezza nelle amicizie: e cioè quel sempre fermarmi alla prima impressione e non cambiare poi il giudizio sulle persone accettandole come sono, riconoscendo i loro difetti come i miei, anzi nei loro difetti i miei”. Si capisce meglio, allora, che uno stravolgimento è avvenuto, se adesso il politico abruzzese in trasferta più che la figura da statista marsicano evoca quella di Totò e Peppino alle prese con la dolce vita: “Moët & Chandon? Mo’ esce Antonio. Triple sec, no, la trippa secca no. Sa che le dico? Mi porti due whiskey e tre pernacchie”.
Deve essere il fantasma di Lucrezia Borgia, che da quelle parti passò. Certe tradizioni dello “ius primae noctis” del barone Corvo de Corvis. Il fallo d’ulivo che continua a girare di mano in mano, da corna a corna, con scazzo e sollazzo. Qualcosa che prudeva (oltre che corna), ma che stava composto e sfumato, tra dimenticanza e il ricoscere gli altrui difetti come propri. Poi dal “gran rifiuto”, a evocazione del conterraneo Celestino V, si è passati al “grande assenso”. Magari a cinque stelle.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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