di Giustino Parisse
La parola d'ordine - sottintesa - per adesso è tiriamo a campare. Parliamo naturalmente della ricostruzione dell'Aquila. Dopo mesi di fuoco e fiamme e di scontri più o meno pubblici fra Comune e struttura commissariale si è giunti ad una sorta di tregua armata. Lo ha ammesso lo stesso sindaco dell'Aquila quando due giorni fa nell'aula di palazzo dell'emiciclo davanti al commissario-presidente Chiodi ha alzato - per ora - bandiera bianca dicendo: prendiamo atto della situazione data. L'estate e la voglia di vacanze sta facendo il resto tanto che l'assessore alla ricostruzione del Comune dell'Aquila Pietro Di Stefano lunedì, alla seduta del consiglio comunale che doveva essere un confronto a muso duro con il commissario non c'era, perché in ferie. In verità non c'erano nemmeno gli altri assessori che hanno fatto delle semplici apparizioni ad uso dei titoli di coda.
La tregua di solito la chiede chi capisce che rischia di perdere la guerra. E lunedì durante la massima assise municipale una cosa si è capita.
Da una parte c'è una struttura commissariale che "benedetta" dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta appare granitica. Nessuna sbavatura, piena intesa fra Chiodi, Cicchetti (il vice), Fontana (il capo della struttura di missione), il provveditorato alle opere pubbliche che ha in mano una fetta consistente della ricostruzione.
Dall'altra (i consiglieri comunali) una specie di armata Brancaleone dove ognuno parla per sé, dove non si capisce quale linea hanno i partiti (a ogni intervento sono stato costretto a chiedere a Simona Malavolta dell'ufficio stampa del Comune a quale gruppo appartenesse il consigliere che parlava visto che i cambi di casacca ormai non si contano) e, cosa ancora peggiore, è che chi ascolta ha l'impressione che ognuno persegua obiettivi (del tutto legittimi si intende) che però di generale hanno poco. Chiodi lunedì ha schierato a fianco a sé tutti i suoi "uomini". Cialente era lì solo, sprofondato sulla poltrona, con un ferro in un piede a causa di un infortunio, con tutto il peso dei problemi sulle spalle e senza dirigenti o esperti in grado di supportarlo. Dove era per esempio l'uomo "guida" della ricostruzione del Comune dell'Aquila, Daniele Iacovone? Anche lui in vacanza? E se c'era, magari nascosto da qualche parte, perché non è intervenuto a sostegno delle ragioni dell'amministrazione che vorrebbe al più presto liberarsi di Chiodi e compagni? E poi, se tutto il "potere" passasse al Comune quali sono le strutture, il personale, le competenze per gestire una ricostruzione che durerà almeno venti anni?
E allora Chiodi e Cicchetti hanno avuto buon gioco, hanno indossato per un attimo le vesti cardinalizie (nelle quali sono certo starebbero benissimo) e rivolti ai loro interlocutori hanno detto: «Chiedete e vi sarà dato». Poi Chiodi con una leggera perfidia che non gli è congeniale ha aggiunto guardando gli astanti: il problema è che voi finora ci avete criticato ma non avete mai chiesto e mai proposto nulla.
Ma la questione è proprio qui: perché un Comune che rappresenta i cittadini deve andare in giro come i frati cercatori del medioevo a mendicare un po' di pane e magari anche il companatico per sostenere il convento? Perché ogni cosa buona o cattiva deve essere sempre e comunque approvata dal burocrate di turno che se magari si alza al mattino con la luna storta non ti sta nemmeno a sentire? Chiodi ha rivendicato con orgoglio il metodo delle ordinanze dicendo: guardate che con le ordinanze possiamo adeguare le norme anche ogni giorno, con una legge, le modifiche, che dovrebbero passare per il Parlamento, avrebbero un iter di mesi. Il nodo vero però è un altro: i cittadini elettori non hanno nessun potere di controllo sulle ordinanze che vengono di solito fatte nelle segrete stanze. Perché prima di portarle alla firma del presidente del consiglio non vengono pubblicamente discusse magari in consiglio comunale? Non sarebbe un bell'esempio di democrazia e trasparenza? Infine un appunto al sindaco il quale appare ormai sfinito anche se non cessa di lottare «per la mia città». Il suo discorso in consiglio lo ha concluso più o meno così: va bene, la struttura commissariale per adesso non la possiamo spazzare via però voi aquilani non perdete tempo, presentate i progetti per ricostruire, bisogna fare presto. E' sembrato che il sindaco se potesse andare lui a montare le gru e lavorare di cazzuola lo farebbe.
Ma alla città oggi non servono solo muratori (ce ne sono e sono anche in cassa integrazione) ma politici capaci di guardare un po' al di là del proprio naso. Infine una domanda all'arcivescovo dell'Aquila monsignor Giuseppe Molinari che, come capo della diocesi, è proprietario di una grossa fetta del centro storico. Perché ha nominato come vicario alla ricostruzione il suo fidato segretario don Alessandro Benzi e non il vescovo ausiliare monsignor Giovanni D'Ercole mandato apposta dal Papa all'Aquila per seguire la ricostruzione?
13 luglio 2011 da il Centro
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